DON AURELIO PULLA, UN VERO EDUCATORE (Incoronata D’Amico Valiante)

16.11.2014 22:59

Che tristezza passare davanti alla Casa Parrocchiale e vederla transennata, cadente,

vuota!

Per i bambini e i giovani di oggi è normale, l’hanno vista così da sempre. Per

loro è irreale immaginarla come era negli anni sessanta: casa piena di voci, risate

squillanti, grida e schiamazzi. Era il luogo fisico della comunità jelsese.

Prima che venisse costruito l’edificio scolastico, ospitava alcune classi della

scuola elementare e la scuola materna. Questo al mattino.

Nel pomeriggio ricominciava ad essere frequentata dai ragazzi dell’Azione Cattolica

che animavano le lezioni di catechismo. Tutti i bambini e i ragazzi erano

coinvolti, suddivisi in classi, nel catechismo quotidiano. Quello che oggi viene

definito, con un termine anglosassone, cooperative learning era una metodologia

usata dall’Azione Cattolica, dove i più grandi insegnavano ai più piccoli,

il risultato era che si creava un’integrazione positiva tra le diverse età, i più piccoli

erano motivati all’apprendimento in quanto i loro insegnanti, maggiori di

qualche anno, erano i loro miti, vi si identificavano. Io ricordo che partecipavo

volentieri alle lezioni di catechismo, perché, oltre ad imparare a memoria le

varie definizioni che sono alla base della religione cattolica, incontravo le mie

amiche e insieme guardavamo la televisione. Per le cinque del pomeriggio, dovevamo

aver finito i compiti di scuola e quelli del catechismo, così eravamo

pronti, tutti seduti sulle panche, a farci incantare dalle avventure che la “TV dei

ragazzi” ci sapeva offrire. Quale gioia e stupore nei nostri occhi! Eravamo i primi

ragazzini a vedere scorrere davanti a noi immagini che ci facevano sognare,

che ci facevano immaginare un mondo altro e altrove. Era quello uno dei primi

televisori comprati a Jelsi, altri, a disposizione della gente, erano nelle sezioni

locali dei coltivatori diretti e degli allevatori.

Seguire insieme i vari programmi era un’esperienza sana, allegra, ma anche

educativa: si discuteva, si scherzava, si cresceva insieme, superando antiche

divisioni sociali.

L’animatore di questo fermento positivo, il coordinatore e supervisore di tutto

quanto avveniva nella casa parrocchiale era Don Aurelio.

Persona ricca di umanità e Parroco infaticabile, portò una ventata di modernità

nel nostro piccolo paese agricolo. Educatore generoso, attento e attivo, accogliente

e disponibile trasformò la casa parrocchiale in un centro ricreativo. Questo

è stato, per tutti gli anni della sua permanenza e per qualche anno ancora, il luogo in cui generazioni di giovani sono cresciute insieme costruendo e sviluppando

le loro intelligenze, la loro educazione, le loro abilità, il loro futuro. Ho

vaghi ricordi sui temi delle discussioni, ricordo comunque che non censurava i

pensieri e ascoltava con l’attenzione rispettosa ogni dubbio, fornendo sempre

risposte oneste ed autentiche. Ecco, posso dire che, pur non ricordando i contenuti,

mi è rimasta questa percezione di autenticità. Don Aurelio, coinvolgendo

un po’ tutti nelle sue proposte ed iniziative educative e parrocchiali, seppe aprire

le menti, liberarle nel dialogo, stimolarle a mettere in gioco le proprie risorse a

favore della comunità.

Così prese consistenza il teatro. Scendendo per le anguste scale, arrivavamo

nella sala sotto il piano strada e giocavamo a recitare o ad assistere alle varie

rappresentazioni. Chi non ricorda “La signorina cantando vien dalla Rua Papale…”

cantata da Maria Eletto? E i campeggi… Per la prima volta gruppi di ragazzini

venivano affidati ad un Parroco per un’esperienza davvero particolare:

sapersi gestire con autonomia e responsabilità in un gruppo di coetanei, senza

il soccorso dei genitori. Un’esperienza che è rimasta indelebile nei protagonisti

che hanno avuto la fortuna di compierla.

Certo, Don Aurelio si è trovato nel nostro paese in un periodo in cui l’Italia tutta

era in movimento, si era ottimisti, si era certi del progresso della civiltà, i genitori

sognavano per i figli un futuro più generoso rispetto alla loro vita di sacrifici.

Per questo avevano grande fiducia in lui come educatore.

Sentivano che, con il suo aiuto, i ragazzi potevano solo migliorare. Infatti era

così. Se c’erano dei ragazzi intelligenti, ma non agiati, egli trovava il modo per

aiutarli, stimolarli, indirizzarli.

E poi…Che dire delle gite?!

Va bene, la televisione ci mostrava paesaggi inimmaginabili, ma lui addirittura

ci portava a vederli dal vivo! Pensate, ci portò a visitare il santuario di San Michele

Arcangelo, sul Gargano. Molti di noi vedevano il mare per la prima volta,

così non appena qualcuno intravide quella massa azzurra intonò la canzone di

Modugno “Il mareeee, è la voce del mio cuor, è la voce del tuo cuor…”

Poi, i giovani di Jelsi continuarono la loro strada più o meno vicino a Don Aurelio,

fino a quando si trasferì a Benevento. Alcuni sono rimasti sempre in contatto

con lui, altri, come me, non hanno coltivato costantemente questo legame,

pur sentito come benefico, rigenerante.

Certo, quando d’estate veniva a Jelsi, mi piaceva salutarlo e scambiare qualche

parola con lui. Le sue parole donavano comunque gioia e speranza.

Mi ricordo di averlo rivisto dopo alcuni anni in un’occasione, forse un matrimonio,

dove eravamo un gruppo di ex-ragazzi; egli si informava della vita di

ognuno di noi, delle nostre scelte e, ancora una volta, mi colpì il suo grado di

accettazione degli altri, il suo cogliere l’aspetto positivo di ciascuna scelta, il suo

andare oltre la superficie.

Sempre accogliente, mai giudicante, egli ha realizzato il messaggio apostolico

coagulando attorno a sé le energie positive della gente che ha incontrato.

Parlare di lui con gli amici e le amiche degli “Anni Cinquanta” ci ha riportato alla

memoria tanti momenti della nostra infanzia, ci ha fatto riflettere su come è incredibilmente

cambiato il mondo!

Riaprire la Casa Parrocchiale ai giovani?

Riaprirla agli anziani?

Non importa a chi, ma ridiamo vita ad una casa che è stata il simbolo della comunità

jelsese!

Guardiamo avanti, forse Don Aurelio ci ha mandato Don Peppino per ripristinare

quella comunità oggi un po’ malconcia.

 

Incoronata D’Amico Valiante

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